Nelle 57 pagine delle motivazioni con cui la Corte di Cassazione spiega i motivi delle assoluzioni senza rinvio degli imputati del processo “Leonia” (operazione che aprì le porte allo scioglimento del Consiglio comunale) particolare attenzione viene dedicata ai “pentiti”. «Nel caso di specie – scrivono gli ermellini –, le dichiarazioni dei collaboratori, come riportate nella sentenza impugnata, appaiono in alcuni casi generiche, in altri non riscontrate, in altri ancora non individualizzanti. In particolare: il collaboratore Lo Giudice non risulta avere riferito di alcun episodio o circostanza specifica ricollegabile all’ipotizzata appartenenza dei fratelli Fontana ad associazioni di stampo mafioso. Anzi, ne aveva negato in maniera decisa lo status delinquenziale. In ogni caso, la Corte di appello non ha fornito alcuna risposta alle deduzioni della difesa che contestavano la credibilità del collaboratore, il quale, peraltro, indicava l’anno della pax mafiosa (1991) come quello della nascita della Leonia S.p.A., mentre, in realtà, risulta pacifico che tale società è stata costituita solo nel 2004».
Non meno teneri i supremi giudici sono nei confronti di Consolato Villani, che «ha, come unica fonte cognitiva, Lo Giudice il quale, in udienza, ha dichiarato che Villani, in alcuni punti, ha esagerato e, in altri, ha mentito, e ancora ha sostenuto che era stato lo stesso Villani a riferirgli molti particolari sulla Leonia S.p.A. perché suo suocero lavorava presso la società. Il Collegio di appello non si è confrontato su tali contraddizioni, pur evidenziate dalla difesa».
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Fonte reggio.gazzettadelsud.it 2022-06-09 01:30:15