La gestione dei traffici illeciti nel porto di Gioia Tauro stava per scatenare una sanguinosa guerra tra due delle più potenti famiglie della ‘ndrangheta calabrese. Umberto Bellocco, ritenuto la più alta espressione della ‘ndrangheta calabrese, avrebbe dato l’ordine di eliminare il boss di Limbadi Luigi Mancuso. Un piano che sarebbe saltato solo per l’arresto di Bellocco. A raccontarlo al pm della Dda Antonio De Bernardo è stato il collaboratore di giustizia Vincenzo Albanese. Due verbali effettuati nel settembre scorso dal pentito di Rosarno sono stati depositati nel corso del maxi processo Scott Rinascita che vede tra gli imputati proprio il boss vibonese Luigi Mancuso. «Quando mio zio Umberto Bellocco venne scarcerato nell’anno 2014 – ha raccontato Albanese – voleva accentrare nuovamente a se tutto il potere criminale e per tale motivo si scontrò con gli altri esponenti della ’ndrangheta tra i quali Luigi Mancuso in particolare per la comprevendita di droga attraverso il porto di Gioia Tauro». Il collaboratore di giustizia ha sostenuto di aver ricevuto lui stesso l’incarico di fissare un incontro con il boss di Limbadi. L’obiettivo di Umberto Bellocco sarebbe stato quello di percepire una percentuale a titolo di estorsione sui quantitativi di droga che passavano dal porto di Gioia Tauro. Per mandare la richiesta di incontro Albanese si sarebbe rivolto a «un vecchietto, favoreggiatore di Mancuso, il quale aveva dei terreni tra Limbadi e Rosarno». Si era deciso di fare incontrare i due mammasantissima a metà strada «visto che entrambi i boss erano sottoposti alla sorveglianza speciale». Ma Mancuso, stando al racconto di Vincenzo Albanese, avrebbe declinato l’invito. Uno “sgarro” che Umberto Bellocco giurò di punire con il sangue, poi mandò Albanese e un altro affiliato «per riferire al Mancuso che dal porto di Gioia Tauro non sarebbe passato più nulla senza il suo volere».
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Fonte calabria.gazzettadelsud.it 2022-06-08 01:29:36