E’ un lutto importante per l’antropologia italiana e non solo, ma ancor più, pur nella sua statura internazionale, Luigi Lombardi Satriani, morto ieri a 85 anni, ha avuto (e continuerà ad avere) un ruolo fondamentale, di riscatto culturale e di conferma dell’importante valore umano e culturale di tradizioni antiche che sono tutt’altro che una reliquia del passato, soprattutto per la sua Calabria. Basti pensare al titolo del suo primo libro, “Folklore come cultura di contestazione” (1966), per comprendere come la sua ricerca, d’impronta francamente marxista – lo chiamavano «il barone rosso» – , anche oltre l’originale impostazione gramsciana, abbia posto in primo piano l’essenza della cultura popolare, tanto più quella della sua regione, come «oppositiva», cioè – come aveva scritto – in grado di «ridare voce a chi storicamente ne è stato espropriato, ai “muti della storia”». Folklore e tradizioni non come sopravvivenze di un antico che non ha più posto nel mondo di oggi, ma come cultura viva e vitale, e capace come tale d’essere “altro”, opponendosi alla cultura dominante, al consumismo e alla società massificata.
Lombardi Satriani, nato a San Costantino di Briatico (Vibo Valentia) nel dicembre del 1936, cominciò la sua carriera universitaria a Messina, per poi proseguirla a Napoli e alla Sapienza di Roma, di cui era professore emerito. È stato anche preside della facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università della Calabria (dove nel 2016 ha ricevuto la laurea honoris causa in Filologia moderna) e presidente onorario dell’Associazione italiana per le Scienze etno-antropologiche. Ha insegnato anche negli atenei di Austin (Texas) e San Paolo (Brasile) ed è stato Senatore, eletto con L’Ulivo, dal 1996 al 2001. Nel 2016 ha ricevuto il premio “Cocchiara” dell’Università di Messina.
I temi della religiosità popolare (e i suoi collegamenti con il cibo), della cultura della morte (fondamentale il suo…
Fonte calabria.gazzettadelsud.it 2022-05-30 19:58:18