«C’è pastina per tutti», cioè a Roma c’è spazio per ogni tipo di affare. Possibilità enormi, e anche per i giri illeciti: lo sanno bene Vincenzo Alvaro – figlio di Nicola che negli anni Novanta ricopriva il ruolo di capo di Cosoleto – e Antonio Carzo, che a sua volta avrebbe incassato dalla “casa madre” l’autorizzazione a costituire una locale di ’ndrangheta a Roma. È questo lo scenario in cui si sviluppa la maxinchiesta “Propaggine”, che su disposizione della Dda di Roma ha portato all’arresto di 43 persone tra Lazio e Calabria e al sequestro di 12 società, incrociata con il fascicolo della Procura antimafia reggina sfociato contemporaneamente, all’alba di martedì, in altri 34 arresti.
Amici con tutti
«Adesso lui fa le veci del padre! Hai capito? Perché il padre è anziano. Quando c’è un problema tra famiglie… chiamano lui», dice un indagato di Vincenzo Alvaro. Che a sua volta, figlio di uno storico boss, a Roma sarebbe stato capace di costruire un impero. Fiuto per gli affari e spirito imprenditoriale, nella presunta diarchia con Antonio Carzo avrebbe curato gli interessi economici del gruppo. Aveva creato «un vero e proprio sistema occulto di accaparramento e gestione di attività economiche nella città di Roma», scrive di lui il gip capitolino Gaspare Sturzo secondo il quale Alvaro, detto “zio”, «partecipa personalmente alle affiliazioni e al conferimento di nuove doti di ’ndrangheta, mantiene i contatti con personaggi di vertice di altre cosche, di cui si serve anche per riscuotere crediti delle attività commerciali fittiziamente intestate o per ottenere vantaggi illeciti nel settore ittico o in quello del ritiro delle pelli e degli olii». E che ci fosse da guadagnare per tutti ne era convinto uno dei sodali, Giuseppe Penna, che il 20 ottobre 2016 si esprime in questi termini: «Non è che io devo comandare qua a Roma… a Roma io lo so, questi della Magliana sono tutti amici nostri, tutti…
Fonte reggio.gazzettadelsud.it 2022-05-12 03:50:17