“C’è da scommetterlo. Le elezioni presidenziali americane, di qui a qualche giorno, daranno altro fuoco alle polveri della politica di casa nostra. Che vinca l’uno o l’altra assisteremo inevitabilmente a quel sottile gioco di appropriazione che ci fa illudere di avere più voce in capitolo di quella che non abbiamo. Gioco che si può svolgere attraverso garbate allusioni o grossolane sovrapposizioni. O magari anche rivendicando improbabili terzietà.
Fin qui nulla di nuovo. Il punto vero però sta nel fatto che gli Stati Uniti non stanno scegliendo un presidente. Stanno scegliendo un modo di stare al mondo. E cioè si trovano questo punto molto vicini al bivio tra una lunga tradizione di universalismo e una altrettanto lunga tentazione di isolazionismo. Dilemma che non è affatto nuovo, se solo si ripercorre la storia del novecento. Ma che non era mai apparso così nitido e divisivo come durante questa campagna elettorale.
Da Roosevelt ai nostri giorni quel dilemma era stato quasi sempre risolto nel segno dell’interventismo. E cioè facendosi largamente coinvolgere negli affari del mondo. Naturalmente si può discutere sul modo in cui questo coinvolgimento si è attuato. Nelle forme salvifiche della seconda guerra mondiale. Oppure nelle forme tutt’altro che innocenti che abbiamo visto all’opera in Cile e in Vietnam, e poi in Iraq -per fare solo gli esempi più canonici a questo riguardo. In tutte queste vicende ognuno può leggere secondo la sua sensibilità, e apprezzare la solidarietà o censurare l’interferenza. Ma si trattava pur sempre di un’America coinvolta negli affari del mondo. Ed è su quella America che si è sagomata anche la politica di casa nostra.
Questa partecipazione ad ampio spettro aveva largamente accomunato presidenti repubblicani e democratici, senza che quasi mai le linee di partito facessero una troppo larga differenza al riguardo. Il sentimento di considerarsi la potenza…
Fonte www.adnkronos.com 2024-11-03 09:10:15