Elisabetta da 12 anni va in ospedale a Trapani a fare le sue lunghe sedute di infusione del farmaco per la sua malattia rara, la sclerodermia. Significa stare fermi per ore, racconta. “Se ci fosse possibilità di fare la terapia a casa la farei con piacere, ma la mia Regione non mi dà ancora questa possibilità”. Beba è un caso di diagnosi tardiva, “arrivata dopo 6 anni. E’ in cura dal 2015 in un ospedale romano dove fa periodicamente la sua settimana di infusioni. “Sono fortunata perché abito vicino all’ospedale e riesco a fare avanti e indietro per quelle 6-7 ore di infusione. Ma in ospedale con me – sottolinea – ci sono molte persone che invece ogni giorno affrontano anche 2 ore e mezza di macchina, andata e ritorno, per poter venire a fare la terapia”.
Come Lina, che vive in Campania e dice: “L’ospedale dista un’ora da casa mia e non si può chiedere al marito di prendere una settimana dal lavoro per poterti accompagnare. Hanno messo quest’asta e dobbiamo stare 6 ore fermi in poltrona, è molto difficile”. Un tempo era anche peggio, spiega Maria Antonietta che in Lombardia ha iniziato nel 1996 le infusioni: “All’inizio stavo ricoverata 10 giorni per 5 di infusione. Poi le cose si sono perfezionate, abbiamo continuato con il Day hospital”, “poi siamo arrivati ai computer e ora abbiamo una pompa portatile e le cose si sono molto facilitate”. La tecnologia, utilizzata come un’alleata al fianco di specialisti e pazienti, potrebbe fare la differenza per molti degli italiani che soffrono di sclerosi sistemica, in totale più di 30mila persone, prevalentemente donne, diverse delle quali giovani.
Attualmente, i percorsi di cura prevedono una presa in carico a livello ospedaliero e l’uso di dispositivi fissi o indossabili. Ma il futuro, illustrano gli esperti – oggi durante un incontro a Milano per il lancio di una campagna di sensibilizzazione, ‘La sclerodermia è anche nostra’, promossa dalle associazioni pazienti Gils, Liss e…
Fonte www.adnkronos.com 2023-11-30 17:00:44