“Sono entusiasta. Partecipando allo studio Ruby”, che ha indagato l’aggiunta dell’immunoterapia alla chemio, “ho trovato un discreto numero di pazienti” con tumore endometriale primario avanzato o ricorrente “che avevano una risposta” clinica superiore, “fuori dalla norma, rispetto alla tradizionale chemioterepia con carboplatino taxolo” da sola. “Ora ci poniamo la domanda se serva la chemio per tutte, quando serva solo l’immunoterapia, cosa fare nelle pazienti che progrediscono, in quelle che non rispondono alle terapie. Su questo ci sono altri studi in corso”. Lo ha detto, in un incontro con i giornalisti, Giorgio Valabrega, professore associato di Oncologia medica Università di Torino, Fpo-Irccs Candiolo, coordinatore per l’Italia dello studio clinico Ruby, i cui risultati di fase 3 sono stati presentati in queste ore all’Annual Meeting of Women’s Cancer, organizzato dalla Society of Gynecologic Oncology americana a Tampa, in Florida.
Lo studio clinico di fase 3 Ruby ha dimostrato che, nel trattamento del tumore endometriale primario avanzato o ricorrente, l’immunoterapia a base di dostarlimab più la chemioterapia, rispetto alla sola chemioterapia, ha portato a una riduzione del 72% e del 36% del rischio di progressione della malattia o di morte, rispettivamente, nella popolazione con una condizione genetica nota come instabilità dei microsatelliti (dMMR/MSI-H) e nella popolazione complessiva di pazienti.
“C’è un gradiente da considerare – spiega Valabrega – Quando abbiamo un bersaglio chiaro”, come l’instabilità dei microsatelliti, “l’entità del beneficio è maggiore, con una Hr (Hazard ratio, cioè un rischio di recidiva) dello 0,28, ma nella popolazione generale, una Hr tra 0,6-0,7 è comunque meravigliosa”. Si deve inoltre considerare che “questo beneficio, con l’immunoterapia, continua anche quando la sospendiamo. Con la chemioterapia continuiamo fino a quando non…
Fonte www.adnkronos.com 2023-03-28 17:24:00