È noto che i soggetti maschi sopravvissuti al cancro hanno maggiori probabilità di avere problemi di infertilità rispetto agli altri. Questo è principalmente dovuto dell’utilizzo di varie procedure chirurgiche, chemio e radioterapiche che possono avere un impatto negativo sulla qualità seminale, possono compromettere l’eiaculazione o la funzione ipotalamica, ipofisaria e/o testicolare. Negli ultimi decenni, i progressi nel campo dell’oncologia hanno portato a un tasso di sopravvivenza medio a 10 anni che raggiunge quasi l’80% nei pazienti con insorgenza di cancro nell’infanzia, adolescenza e nei giovani adulti. L’aumento quindi della popolazione di giovani maschi sopravvissuti al cancro porta conseguentemente ad un incremento dei soggetti che mostrano una ridotta fertilità. Per questi soggetti il modo più ovvio di ottenere la paternità è ricorrere alle tecniche di Procreazione Medicalmente Assistita (PMA), in particolare quelle di II livello come la fecondazione in vitro (FIVET) o l’iniezione intracitoplasmatica dello spermatozoo (ICSI).
Il concepimento attraverso tecnica FIVET è più comune nei casi di forme meno gravi di infertilità maschile, mentre l’impiego della tecnica ICSI è raccomandato per gli uomini con compromissione più grave della fertilità.
È stato recentemente pubblicato sulla rivista Human Reproduction uno studio che ha analizzato i tassi di paternità con l’utilizzo di tecniche PMA dopo trattamenti per il cancro e ha identificato i sottogruppi di maschi sopravvissuti al cancro che hanno la percentuale più alta di bambini concepiti tramite tecniche PMA discriminando tra FIVET ed ICSI.
Basandosi su dati del registro svedese delle nascite, sono stati identificati un totale di 1181488 uomini che hanno concepito il loro primogenito in Svezia tra il 1994 e il 2014. Di questi, 26901 padri avevano una diagnosi di cancro, da cui sono stati esclusi quelli con diagnosi di cancro a meno di 12 mesi dal…
Fonte www.adnkronos.com 2023-03-13 13:51:02