Ma che cos’ è mai questa “politica”, da cui tutti, o quasi tutti, vogliono tenersi discosti? E così considerata malsana e corruttrice, che un’orgogliosa dichiarazione del presidente del Consiglio dei ministri (l’umano orgoglio di quanti scelgono e costruiscono la loro strada) è stata piegata o interpretata a rifiuto della politica stessa? E’ quello che si domanda Natalino Irti sulle pagine del Sole 24 Ore.
È concorde e unanime, scrive, il concetto che la politica è determinazione di fini comuni, del “verso dove” una data società si incammini, e con quali mezzi e tempi di esecuzione. Una causa, insomma, per cui si avverte la weberiana “passione”, che preme dentro come un dovere da adempiere e un servizio da rendere a sé ed agli altri. La politica sta in questa scelta fondamentale, la quale nasce dall’urto con altre forze, in un conflitto che ha per giudice soltanto il corso storico. La pudica formula del “tecnico prestato alla politica” nasconde la semplice verità, che il tecnico, cioè l’individuo provvisto di una speciale competenza, si è fatto “politico” al pari di ogni militante di partito, e, anch’ egli, ha compiuto la scelta di un “verso dove”, prendendo posizione nelle relazioni interne fra le classi sociali e nelle estere fra gli Stati.
Il tecnico, che mette la propria competenza al servizio del governo (democratico o liberale o autoritario), ne condivide per ciò stesso l’indirizzo, fa proprî gli scopi perseguiti, ne accetta i risultati siano favorevoli o sfavorevoli. L’art. 95 della Costituzione tratteggia con singolare efficacia la figura del presidente del consiglio dei ministri, che “dirige la politica generale del Governo e ne è responsabile. Mantiene l’unità di indirizzo politico e amministrativo, promovendo e coordinando l’attività dei ministri”. E come potrebbe non far politica, e starsene in sprezzante solitudine, chi ha il dovere costituzionale di garantire “l’unità di indirizzo politico”?
Fonte www.adnkronos.com 2022-02-20 11:34:02