Sono 14 gli indagati per il presunto caso di torture e lesioni personali aggravate consumate nel carcere “Panzera” di Reggio Calabria nei confronti di un detenuto napoletano, ritenuto un esponente di spicco della camorra.
Tra loro anche quattro messinesi.
Sei gli indagati colpiti dalla misura degli arresti domiciliari: il comandante della Penitenziaria, Stefano Lacava (classe 1974, nato a Firenze e residente a Reggio Calabria); Fabio Morale (1977, Messina); Domenico Cuzzola (1977, Reggio Calabria); Pietro Luciano Giordano (1967, Villa San Giovanni); Placido Giordano (1971, Taurianova); Alessandro Sgrò (1983, Sant’Agata MilItello).
Due gli indagati sospesi dall’esercizio di un pubblico ufficio: Alessandro Gugliotta (1969, Sant’Agata Miltello Messina) e Carmelo Vazzana (1970, Reggio Calabria).
Diversa, e più attenuata, la posizione di altri sei indagati, che il Gip di Reggio si è riservata la decisione all’esito dell’interrogatorio: Stefano Munafò (1988, Villa San Giovanni), Angelo Longo (1981, Barcellona Pozzo di Gotto), Diego Ielo (1965, Reggio Calabria), Antonio Biondo (1976, Melito Porto Salvo), Vincenzo Catalano (1969, Reggio Calabria) e il medico Sandro Parisi (1959, Reggio Calabria), indagato per depistaggio in quanto avrebbe reso false dichiarazioni al pubblico ministero nel corso delle indagini. Anche per lui il gip deciderà dopo l’interrogatorio se sospenderlo dal servizio.
Il cuore dell’accusa sostenuta dal procuratore Giovanni Bombardieri, dall’aggiunto Giuseppe Lombardo e dal sostituto procuratore Simona Pezzan è per gli indagati principali aver condotto «illegittimamente il detenuto in una cella di isolamento, senza alcuna preventiva decisione del Consiglio di disciplina ovvero senza alcuna previa decisione adottata in via cautelare dal Direttore, serbando gratuite condotte di violenza e di sopraffazione fisica che cagionavano al detenuto acute sofferenze fisiche mediante più condotte e sottoponendolo ad un trattamento inumano e degradante per la dignità della persona».
L’indagine che ha portato agli arresti è stata condotta dalla Squadra mobile reggina, diretta da Alfonso Iadevaia. La posizione che appare obiettivamente più grave è quella del comandante La Cava, al quale, oltre alla tortura e alle lesioni, sono contestati i reati di falso ideologico commesso da pubblico ufficiale in atto pubblico, falso ideologico commesso da pubblico ufficiale in atto pubblico per induzione, omissione di atti d’ufficio, calunnia e tentata concussione.
Secondo quanto è emerso dall’inchiesta, La Cava avrebbe tentato illegittimamente di visionare, costringendo un suo sottoposto a mostrargliele, alcune relazioni di servizio relative alla sorveglianza cui veniva sottoposto Peluso. All’epoca dei fatti, tra l’altro, il detenuto vittima del pestaggio aveva messo in atto una protesta, rifiutandosi di rientrare in cella dopo avere beneficiato dell’ora d’aria. Il pestaggio di cui è rimasto vittima Peluso è stato ripreso dalle telecamere interne dell’istituto di pena.
L’uomo è stato colpito ripetutamente dagli agenti con i manganelli in loro dotazione, ma anche con pugni. Lo stesso personale di polizia penitenziaria, inoltre, lo avrebbe fatto spogliare e lo avrebbe lasciato seminudo per oltre due ore in cella. A denunciare le violenze subite, a distanza di alcuni giorni, è stato lo stesso Peluso togliendosi la maglietta nel corso di un collegamento in videoconferenza col Tribunale di Napoli durante un processo e mostrando i segni delle percosse ai giudici, che hanno poi segnalato i fatti alla Procura di Reggio Calabria.
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Fonte reggio.gazzettadelsud.it 2022-11-28 16:37:06