La grande Sila. E una città – San Giovanni in Fiore – posta a cavallo tra due province: quella di Cosenza e l’altra di Crotone. L’altopiano calabrese ricco di insediamenti ricettivi e, soprattutto, importantissimo nel quadro della commercializzazione del legname, è stato al centro di una contesa mafiosa.
I clan “confederati” cosentini non sopportavano infatti che i “compari” crotonesi gestissero per conto loro tutto il “giro” del taglio e della vendita del legname. Per i picciotti bruzi era una questione di onore: l’area sangiovannese ricadeva nel loro territorio e non si poteva consentire che qualcuno si infiltrasse e ne traesse profitto economico senza che loro ne sapessero nulla. «Isolitani, petilini e papaniciari controllavano le aste boschive a San Giovanni in Fiore e luoghi viciniori senza darci conto» racconta Daniele Lamanna – elemento apicale della ormai disciolta “Nuova Famiglia” di Cosenza -. Il problema, dunque, andava risolto. Come? Investendo della delicata questione un “mammasantissima” ionico che avesse l’autorevolezza e il carisma criminale necessari per mettere le cose a posto. Fu Domenico Megna – “don Mico” – storico capobastone del quartiere Papanice di Crotone a intervenire. «Megna mi disse che avrebbe dato ordine a chi gestiva l’affare dei boschi per suo conto, di rispettare noi cosentini e annunciò pure che avrebbe organizzato un incontro». Il vecchio padrino – con il quale Lamanna aveva trascorso un periodo comune di detenzione – comprese che era meglio scongiurare tensioni e possibili scontri.
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Fonte calabria.gazzettadelsud.it 2022-09-05 01:30:11