Servirà un nuovo giudizio
d’appello per stabilire, dopo il riconoscimento dell’aggravante
mafiosa, il trattamento sanzionatorio per Antonio e Luca
Catania, rispettivamente di 54 e 47 anni, entrambi di Vibo, il
primo ex presidente della Camera di Commercio.
I due, dopo la condanna in primo grado a 2 anni e 6 mesi di
reclusione, in secondo grado avevano visto le accuse di tentata
estorsione e tentata libertà degli incanti finire in
prescrizione proprio per la caduta dell’aggravante, ma la
Cassazione, nel disporre l’ulteriore giudizio con la
trasmissione degli atti alla corte d’Appello di Catanzaro, l’ha
invece riconosciuta. Parti offese sono i coniugi Anita Montoro e
Vincenzo Antonio Marzano, che sarebbero stati minacciati
affinché desistessero dalla partecipazione ad un’asta pubblica
per l’aggiudicazione di due immobili nell’ambito di una
procedura esecutiva a carico degli imputati.
Contro la sentenza di secondo grado aveva presentato ricorso
per Cassazione il procuratore di Catanzaro, deducendo, con un
unico motivo, la violazione di legge e vizio di motivazione in
ordine alla esclusione della aggravante mafiosa. E i giudici
della Cassazione lo hanno ritenuto fondato nella sentenza del
settembre scorso (le cui motivazioni sono state depositate il 21
novembre) evidenziando che la minaccia estorsiva “può essere
anche implicita o addirittura ‘silente’ ed è permeata da metodo
mafioso quando il tenore della minaccia, calata in un
determinato contesto ambientale, faccia implicitamente evocare
che essa non sia frutto di una azione isolata del singolo
artefice, ma si inserisca o alluda ad un contesto criminale di
tipo organizzato”.
Nel caso in questione è stata la stessa Corte di appello a
dare atto del fatto che, almeno in una occasione, gli imputati –
in particolare Antonio Catania, ma la responsabilità è stata
ritenuta a carico di entrambi, in concorso tra loro, avuto
riguardo alla concatenazione logica e cronologica di tutte le
condotte contestate – avevano apertamente evocato alle vittime
la presenza della mafia dietro ai loro comportamenti, secondo
quanto già valorizzato dal Tribunale (“Dovevate capire quando
l’asta è andata deserta che c’era la mafia”). In altra occasione
Luca Catania aveva assunto un “fare mafioso”, inteso ad evocare
alle vittime la sua forza contrattuale illecita (“tanto vi
assicuro che là dentro non c’entra nessuno”).
Per la Cassazione ci si trova, dunque, finanche “al di là
della minaccia silente, già bastevole, a determinate condizioni,
ad aggravare il reato attraverso il riconoscimento dell’uso del
metodo mafioso” e il riferimento alla mafia “non era affatto
generico, in quanto collegato, nelle parole dell’agente, alla
circostanza, tipica solo delle organizzazioni criminali
organizzate, di poter controllare il territorio di riferimento,
a tal punto da impedire a chicchessia, nella specie, la
partecipazione all’asta pubblica di interesse processuale”. Che
poi tale riferimento alla “mafia” non avesse sortito alcun esito
intimidatorio ulteriore sulle vittime secondo la Cassazione è
affermazione “inconferente rispetto alla configurazione
giuridica dell’aggravante, non rilevando il comportamento della
persona offesa, ma la volontà dell’autore del reato, in questo
caso perpetrata in più occasioni, a dimostrazione della sua
serietà sotto il profilo criminale”.
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Fonte www.ansa.it 2024-11-25 18:20:56