Allo stato si registra
un’inadeguatezza degli strumenti che vengono utilizzati per
promuovere la cultura dell’accettazione del disturbo mentale.
Occorre dunque un impegno da parte di tutti, operatori sanitari
e non, per affrontare socialmente la questione e tentare
d’inglobare il malato di mente nella vita della comunità.
É quanto é emerso dall’incontro svoltosi a Catanzaro nello
spazio “Coriolano Paparazzo” fondato da Francesco Mazza.
L’occasione per dibattere su un argomento da sempre al centro
dell’attenzione é stata fornita dalla mostra di fotografie del
fotoreporter e regista Gian Butturini, intitolata “Tu
interni…io libero”, con la ristampa del libro di fotografie,
scattate nell’ospedale psichiatrico di Trieste, pubblicato nel
1977 dallo stesso Butturini d’intesa con Franco Basaglia, lo
psichiatra morto nel 1980, quando aveva appena 56 anni, che fu
l’ispiratore della legge 180 che nel 1978 abolì, di fatto, i
manicomi. L’incontro si é incentrato sull’intervento della
neurologa Amalia Bruni, direttore del Centro regionale di
Neurogenetica di Lamezia Terme e da qualche anno impegnata anche
politicamente come consigliere regionale del Pd, sollecitata
dalle domande di Venturino Lazzaro, direttore del centro clinico
San Vitaliano di Catanzaro, e dello stesso Mazza. “Se la legge
Basaglia – ha detto Amalia Bruni – ha avuto il merito di
eliminare le condizioni disumane in cui i pazienti psichiatrici
venivano tenuti, è anche vero che quello che avrebbe dovuto
essere il loro inserimento pieno nel contesto sociale,
attraverso una serie di strutture gestionali e assistenziali, ha
stentato a realizzarsi perché la disposizione giuridica si è
scontrata con un problema culturale. Questo tipo di processi non
si possono imporre con le norme, ma richiedono tempo. Non si può
negare che la malattia mentale esiste, ma bisogna dare dignità
all’essere umano in qualsiasi tipo di situazioni si trovi. Così
come occorre eliminare lo stigma che deriva dalla mancanza di
conoscenza di queste patologie che riguardano il cervello. Un
primo strumento che funziona per non avere paura delle persone
che hanno un problema mentale è la comunicazione, che si basa
sul linguaggio verbale e sull’ascolto diretto. L’ambiente poi
influisce sul comportamento e modifica le nostre connessioni.
Non è irrilevante che una persona affetta da una sofferenza stia
all’interno di un ambiente accogliente e terapeutico rispetto a
un altro che dimostra repulsione. La cura è la presa in carico
di una comunità che deve diventare curante”.
“Il disagio sociale – ha aggiunto Amalia Bruni – ha raggiunto
dimensioni mostruose e colpisce soprattutto i più giovani. In
Regione stiamo lavorando sulla proposta di uno psicologo
ambulatoriale che possa riuscire a gestire e intercettare questo
nuovo bisogno di salute. E la diagnosi precoce può permettere di
mettere in condizione la persona di capire il suo disagio, di
accettarlo ed imparare a governarlo. In questa situazione la
spinta dal basso può essere determinante. Se si crea un
movimento di comunità che esprime nuovi bisogni non più
intercettati da vecchi strumenti, non si può rimanere
inascoltati”.
Dal dibattito sono scaturiti significativi suggerimenti sul
percorso da seguire. Dal punto di vista strutturale si punta
all’attivazione di centri diurni e di comunità terapeutiche
grazie alle quali le famiglie dei pazienti possono essere
sgravate delle difficoltà che incontrano quotidianamente e dove
le persone con patologia psichiatrica possono fare un percorso
di riabilitazione psichiatrica. Ma questo non può bastare. Da
qui l’impegno a costituire un Comitato promotore÷ composto da
professionisti, cittadini e rappresentanti di associazioni che
possa stimolare la coscienza pubblica a riassumersi una
responsabilità collettiva, riportando in campo anche l’azione
politica su svariate questioni sociali. L’obiettivo finale è
quello di contribuire a costruire una società che si vuole fare
carico del malato mentale, che non lo emargina ma gli dimostra
anzi vicinanza.
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Fonte www.ansa.it 2024-11-18 14:01:40