(di Elisabetta Stefanelli)
LIVIA MASSACCESI, ‘INDOSSARE LA
BATTAGLIA. ROSA GENONI’ (Electa, pag. 95, euro 12,00).
”Per creare un’identità nazionale non basta l’unità d’Italia,
questa deve passare anche per il riconoscimento della nuova
immagine della donna e la moda può giocare un ruolo
fondamentale. ‘Fatta l’Italia devono farsi le italiane”. Ci
prova Rosa Genoni, sartina che ad appena 17 anni si trasferisce
per un triennio in Francia per scoprire i segreti del paese che
dettava legge al mondo sull’eleganza, spesso esportando modelli
poi realizzati dalle artigiane della penisola. Quella di Rosa
Genoni è insieme una battaglia culturale e del costume, che
parte anche da una motivazione politica e che una giovane
designer, Livia Massaccesi, ha scelto di raccontare per motivi
personali e ideali in questo piccolo e prezioso volume edito da
Electa, ”Indossare la battaglia”.
Rosa Genoni impara il francese per capire bene le parole che si
usano nel laboratorio delle maestre sarte in cui entra appena
bambina a Milano, la prima volta andrà a Parigi come interprete
”per accompagnare gli esponenti del movimento al Congresso
internazionale sulle condizioni dei lavoratori di Parigi”. E’
il 1884 e la ragazza è senza dubbio una visionaria, al punto che
rimase unita all’amore della sua vita, Alfredo Podreider fino al
1924, anno della morte della madre di lui che sempre si era
opposta al matrimonio con una donna così ribelle, nonostante la
nascita di una figlia. Una storia da cui la giovane designer
Livia Massaccesi rimane ”folgorata” dal primo momento, per il
suo non accettare ruoli e compromessi, per il suo essere
radicalmente libera. Lei che si definisce ”artefice”, nel
senso di avere la possibilità, ogni donna, di decidere e
disegnare il proprio destino, che passa anche attraverso gli
abiti che si sceglie di indossare.
Il recupero della tradizione classica e l’ispirazione della
storia dell’arte italiana, soprattutto rinascimentale, sono le
su linee guida in una lunga carriera in cui scala tutte le
posizioni dirigenziali possibili per una donna all’epoca, e
senza mai abbandonare l’insegnamento e la scrittura quasi come
missione nel suo dare senso politico al lavoro. Nel 1908 è
delegata dell’Umanitaria al primo Congresso nazionale delle
donne italiane dal tela ”La partecipazione delle donne alla
vita sociale”. Ed è in quella storica occasione che fa il suo
ingresso indossando il Tanagra: ”Rosa sceglie questo modello
per proporre una nuova identità femminile che esprima un’armonia
tra l’aspetto estetico e il ruolo sociale che vuole assumere. Il
Tanagra è il primo esempio di abito dinamico, trasformabile, che
riesce a liberare, almeno parzialmente, il corpo delle donne,
permette la nascita di una silhouette fluida alleggerendo quella
linea forzata che è oramai anche concettualmente scomoda da
indossare”. La sua vita, passando attraverso la guerra e il
Fascismo, termina nel 1954. ”La sua tenacia, la capacità di
relazionarsi con altre donne, di spingerle a fare, a
emanciparsi, il suo andare nel mondo nonostante le difficoltà
del suo tempo, riuscendo sempre a distinguersi, dovrebbero
essere gli obiettivi di tutte le donne di oggi e sempre”.
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