“L’anemia è uno dei problemi più importanti nel paziente con mielofibrosi”, un tumore del midollo osseo caratterizzato dal progressivo accumulo di tessuto fibroso che impatta sulla produzione di globuli rossi, bianchi e piastrine. “Il 40% dei pazienti ha un’anemia al momento della diagnosi”, pazienti “che anche come conseguenza dei trattamenti attuali della mielofibrosi diventano il 60-70%, con una quota rilevante di trasfusione-dipendenti. I farmaci per controllare questa condizione sono efficaci nel 20% dei pazienti, ma tale effetto si perde entro l’anno e le trasfusioni ripetute possono causare accumulo di ferro negli organi con sviluppo di conseguente tossicità. Questa condizione si associa a un’astenia che ha un altissimo impatto sulla qualità della vita. Si stanno sviluppando ora farmaci” come momelotinib, “che pur appartenendo alla famiglia dei Jak inibitori riescono a migliorare l’anemia anche in una fetta di pazienti anemici e trasfusione-dipendenti”. Così Alessandro Maria Vannucchi, professore ordinario di Ematologia, Università di Firenze e direttore della Struttura complessa di Ematologia, Azienda ospedaliera universitaria Careggi, intervenendo oggi a Verona a un incontro con la stampa organizzato da Gsk.
“La mielofibrosi, una neoplasia mieloproliferativa cronica – spiega Vannucchi – viene alle volte diagnosticata in modo del tutto casuale per il riscontro di alterati valori all’esame del sangue o per i sintomi che il paziente riferisce”. La mielofibrosi “si differenzia dalla policitemia vera e della trombocitemia essenziale, che sono le altre neoplasie mieloproliferative croniche. Il paziente con mielofibrosi generalmente si presenta con una serie di sintomi che sono legati soprattutto all’aumento di volume della milza che, quindi, a sua volta può causare dei disturbi dal punto di vista digestivo, come una sensazione di pienezza. Ci sono anche manifestazioni sistemiche, nelle forme più avanzate, come…
Fonte www.adnkronos.com 2024-04-24 14:15:00