Il porto di Saline Joniche, più volte definito come “figlio di nessuno” potrebbe avere una nuova vita. Anche perché, secondo le ricerche condotte dall’Università di Reggio Calabria, il problema consiste in una non corretta gestione del trasporto degli inerti, che si stimano intorno ai 40.000 metri cubi all’anno. Secondo le ricerche effettuate su richiesta dall’Autorità di Sistema Portuale dello Stretto al fine di valutare lo stato delle infrastrutture marittime per poi definire il recupero funzionale, la mancanza di una vera e propria manutenzione ha causato quello che ora purtroppo è sotto gli occhi di tutti: un disastro, con crolli a vari livelli, un insabbiamento costante e fiumi di euro “buttati a mare” per il dragaggio effettuato più volte, sempre senza risultato alcuno. Non sono mancate nel corso degli anni “sfilate” politiche, balletti e parole per promettere ora questo, ora quello.
Eppure da quando la struttura è nata ad oggi, nulla è cambiato. Almeno fino ad oggi. Forse questa potrebbe dunque essere la volta buona. Almeno si spera anche perché ci sono i presupposti così come dimostrato dal gruppo di ricerca coordinato dal prof. Felice Arena, ordinario di Costruzioni idrauliche e marittime e idrologia del Dipartimento di Ingegneria civile, dell’energia, dell’ambiente e dei materiali dell’Università Mediterranea. Il report scientifico, infatti, evidenzia come la non corretta gestione dell’infrastruttura e dei sedimenti, abbia determinato lo scenario odierno. Le correnti che da levante si spostano verso ponente non avrebbero generato la devastazione se fosse stata messa in campo una corretta azione di manutenzione. Pertanto ad avviso dei ricercatori per la rifunzionalizzazione sarà necessario ripristinare le strutture danneggiate così come il molo di sottoflutto e conseguentemente le banchine di riva del tratto ovest e nord-ovest. Un lavoro non indifferente ma realizzabile.
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Fonte reggio.gazzettadelsud.it 2023-03-11 02:32:53