Blitz a Reggio Calabria: decapitata la cosca Piromalli. Questa mattina, in varie province del territorio nazionale, i Carabinieri del Gruppo di Gioia Tauro, a conclusione di indagini coordinate dalla Procura della Repubblica di Reggio Calabria – Direzione Distrettuale Antimafia, diretta dal Procuratore Giovanni Bombardieri, hanno dato esecuzione ad un provvedimento di applicazione di misure cautelari personali, emesse dal Gip del Tribunale di Reggio Calabria, a carico di 49 persone – 34 in carcere e 15 agli arresti domiciliari. Gli indagati complessivamente sono 59.
Gli arrestati
Andrea Alampi
Antonio Albanese
Gaetano Amato
Alfonsino Barilla
Vincenzo Barillà
Cosimo Berlingieri
Francesco Bevilacqua
Gioacchino Cananzi
Salvatore Carbone
Fiore Chiera
Giuseppe Chiera
Rosario Mazzaferro
Aurelio Messineo
Vincenzo Simone Minniti
Vittorio Minniti
Antonio Mole
Federico Palumbo
Salvatore Palumbo
Arcangelo Piromalli
Grazia Piromalli
Cosimo Romagnosi
Domenico Romagnosi
Armando Siviglia
Giuseppe Squillace
Salvatore Tosto
Gaetano Verga
Gregorio Coccia
Federico Copelli
Massimiliano Copelli
Francesco Cordì
Giuseppe Coronese
Giuseppe Ferraro
Ippolito Filandro
Antonio Franza
Emesto Madaffari
Giovanni Madafferi
Carmine Mardecheo
Maria Marino
Salvatore Marzano
Un finanziere ed un prete finiti ai domiciliari
Ci sono anche un finanziere, Salvatore Tosto, di 49 anni, e un sacerdote, don Giovanni Madafferi, parroco della chiesa «Santa Maria Assunta” di Castellace, tra le persone finite ai domiciliari nell’ambito dell’operazione «Hybris», coordinata dalla Dda di Reggio Calabria, contro le cosche Piromalli e Molè di Gioia Tauro, due dei gruppi storici della ‘ndrangheta. Il finanziere è accusato assieme alla moglie di aver rivelato a Cosimo Romagnosi, ritenuto esponente della cosca Piromalli, l’esistenza di un’indagine a suo carico. Mentre don Madafferi è accusato di aver attestato «falsamente, in certificati destinati a essere prodotti all’autorità giudiziaria, qualità personali, rapporti di lavori in essere o da instaurare relativi ad un soggetto imputato che avrebbe in tal modo dovuto beneficiare dell’affidamento in prova». Don Giovanni Madafferi è stato sospeso cautelativamente dal vescovo Francesco Milito. Lo ha comunicato la Diocesi di Oppido Mamertina-Palmi. “Avendo appreso questa mattina dagli organi di stampa – è detto nel testo della nota – le notizie che coinvolgono il sacerdote don Giovanni Madafferi, attualmente parroco della parrocchia Santa Maria delle Grazie e San Giorgio in Sinopoli, la Diocesi esprime rammarico per l’accaduto e confida nell’operato della magistratura. Il vescovo, nel frattempo, ha già adottato nei confronti del predetto sacerdote i provvedimenti previsti in questi casi dal codice di diritto canonico». Il provvedimento riguarda, appunto, la sospensione cautelativa di don Giovanni Madafferi finito ai domiciliari perché, quando era parroco della chiesa “Santa Maria Assunta” di Castellace, secondo la Dda, avrebbe attestato «falsamente, in certificati destinati a essere prodotti all’autorità giudiziaria, qualità personali, rapporti di lavori in essere o da instaurare relativi ad un soggetto imputato che avrebbe in tal modo dovuto beneficiare dell’affidamento in prova».
Rintracciato in Portogallo uno degli indagati
E’ stato rintracciato in Portogallo uno degli indagati destinatari dell’ordinanza di custodia cautelare emessa oggi, su richiesta della Dda di Reggio Calabria, dal gip Stefania Rachele nell’ambito dell’inchiesta “”Hybris” che ha portato all’arresto di 49 soggetti ritenuti vicini alle cosche Piromalli e Molé di Gioia Tauro. Si tratta di Massimiliano Copelli per il quale sono stati disposti i domiciliari per un reato di droga. Destinatario di un mandato d’arresto europeo, Copelli è stato rintracciato a Setubal dalla Polícia Judiciária, Unidade Nacional de Combate ao Tráfico de Estupefacientes portoghese, attivata dall’Unità I-Can del Servizio per la Cooperazione Internazionale di Polizia e dall’Esperto per la Sicurezza italiana a Lisbona, su input dei carabinieri.
Le indagini, attraverso le quali sono stati individuati gli assetti funzionali della cosca Piromalli – di cui è giudiziariamente accertata la primazia nel narcotraffico e l’incidenza territoriale nel controllo della «Piana» – hanno consentito di attribuire agli indagati responsabilità in ordine ai reati di: «associazione di tipo mafioso», «concorso esterno in associazione di tipo mafioso», «porto e detenzione di armi comuni e da guerra»; «estorsioni»; «danneggiamento seguito da incendio»; «turbata libertà degli incanti»; «importazione internazionale di sostanze stupefacenti». I provvedimenti restrittivi seguono una complessa attività investigativa, condotta dal Nucleo Investigativo del Gruppo Carabinieri di Gioia Tauro tra il 2020 e il 2021. L’operazione, indicata in maniera convenzionale con il nome di «Hybris» (a sottolineare la tracotanza che caratterizza l’imposizione della vis mafiosa) – partendo dall’osservazione del territorio, si è posta l’obiettivo di incidere sulla struttura organizzativa della cosca dominante nella Piana.
Oltre alle misure personali il provvedimento dell’Autorità Giudiziaria ha riguardato anche il sequestro preventivo di una ditta (con il relativo compendio aziendale), attiva nel settore della trasformazione dei prodotti agricoli, e di due proprietà immobiliari utilizzate per agevolare le attività criminali della cosca e che rappresentano il profitto delle medesime attività delinquenziali, per un valore complessivo stimato in circa 1 milione di euro.
Bisogna, in prima battuta, riferirsi al dato temporale: l’indagine cattura le dinamiche della cosca nei mesi antecedenti alla scarcerazione di Giuseppe Piromalli, dopo oltre un ventennio di carcerazione. In questo senso, viene registrato il fervore dei consociati per recuperare una unità monolitica della cosca (segnata da personalismi quali la mancata condivisione degli utili), chiudendo un periodo ritenuto di transizione.
L’indagine a Gioia Tauro
L’inchiesta certifica il riavvicinamento tra le cosche Piromalli e Molé, tornate a dialogare a distanza di 15 anni dall’omicidio di Rocco Molé (1965), avvenuto il 1° febbraio 2008, ritenuto il termine di un periodo di duopolio nella Piana di Gioia Tauro. L’intento dei luogotenenti dei Piromalli – per come restituito dalle intercettazioni – appare quello di ripristinare una partnership con i Molé, che avrebbe reso più semplice il raggiungimento degli obiettivi strategici di natura illecita.
Il punto di incidenza che segna il rinnovato dialogo muove dal controllo del mercato ittico di Gioia Tauro. La ricostruzione dell’incendio di un peschereccio in un cantiere navale alla Tonnara di Palmi nell’ottobre 2020 ha permesso di dimostrare come l’evento fosse stato pianificato dalla cosca Molé, perché il proprietario dell’imbarcazione non aveva conferito il pescato al mercato ittico di Gioia Tauro, disattendendo le imposizioni mafiose relative alla gestione dell’intero settore. La distruzione del peschereccio, reso inutilizzabile, ha innescato una dinamica criminale di estremo interesse, in quanto la vittima, invece di ricorrere alle strutture preposte, ha ritenuto utile cercare la copertura mafiosa dei componenti della cosca Piromalli. Una richiesta che dietro lauti compensi è stata concessa dai vertici della consorteria in disamina. In buona sostanza, una dinamica trasversale che ha reso necessario un dialogo tra le due anime criminali di Gioia Tauro, il cui punto apicale è stato rappresentato da un summit effettuato all’interno dell’area cimiteriale del centro più importante della «Piana».
Nel segno della tradizione mafiosa è il ruolo preminente della «casa madre» nella ripartizione delle estorsioni, applicate in maniera sistematica sulle attività economiche di Gioia Tauro
Le operazioni svolte, nel loro complesso, hanno restituito un quadro chiaro sul controllo minuzioso del territorio effettuato dai componenti della cosca Piromalli. Un controllo effettuato in maniera pervasiva che consentiva ai mafiosi di conoscere ogni singola iniziativa economica.
Conseguentemente, i proventi del malaffare venivano ripartiti nella parte sostanziale verso la «casa madre», le cui donne ricevano parte dei profitti estorsivi.
Il monitoraggio ha restituito l’immagine di una «‘ndrangheta economica», sempre alla cerca del profitto, ma anche saldamente legata ai simboli ed alle tradizioni criminali.
Tra le forme di aggressione del territorio gli esponenti della cosca attuavano anche un diffuso racket, con particolare incidenza verso quello delle cosiddette «Guardianie» (estorsioni poste in essere nei confronti dei proprietari dei fondi agricoli i quali, pagando una quota annuale alle rappresentate della cosca competente per territorio, evitano che i terreni vengano depredati dei raccolti o danneggiati nelle culture).
Capacità di pervadere il territorio dimostrata anche dalla disponibilità di armi affidate a custodi fidati: una scelta, quella di parcellizzare i luoghi di detenzione delle armi, oculata per quel che concerne pronta disponibilità sul territorio e schermatura da sequestri imponenti da parte delle forze dell’ordine. Di contro, gli investigatori, con l’individuazione dei soggetti deputati a custodire le armi, sono riusciti a comprovare il loro ruolo nell’aggregazione di mafia individuata.
La capacità occupazionale della cosca: Un’altra manifestazione criminale rilevata durante le indagini ha riguardato l’imposizione delle assunzioni a beneficio degli appartenenti alla cosca. In particolare, è stato documentato come un imprenditore sia stato costretto ad assumere un appartenente al sodalizio in una fabbrica attiva nella zona industriale del porto di Gioia Tauro. Il responsabile della ditta, oltre a non poter scegliere le maestranze da assumere, non poteva neanche sindacare sul rendimento e sull’apporto lavorativo dei malavitosi assunti.
Le mire per beni banditi nelle aste giudiziarie: si sono evidenziati alcuni equilibri criminali che regolavano la gestione immobiliare della zona industriale prospiciente al porto di Gioia Tauro. Un atteggiamento incurante delle iniziative rivolte a regolamentare questo settore, considerato il principale volano che avrebbe dovuto contribuire a valorizzare la zona del «retroporto» di Gioia Tauro. Beni «banditi all’incanto» verso i quali sono stati rilevati convergenti interessi per la loro aggiudicazione, dove chi non era gradito agli esponenti della malavita locale veniva preventivamente scoraggiato a partecipare.
Le relazioni radicate con le altre mafie: in due diverse circostanze gli indagati hanno avuto la necessità di operare fuori dalla Calabria e lo hanno fatto rivolgendosi agli omologhi esponenti criminali del posto, inseriti rispettivamente nei consessi di criminalità organizzata pugliese e siciliana. Un ambito nel quale sono state rilevate le alleanze trasversali tra le organizzazioni. In entrambe le circostanze gli esponenti dei Piromalli hanno fatto leva sull’intimidazione dei criminali che potevano esercitare il loro potere mafioso nella zona di interesse.
Inoltre, in uno scenario di vita criminale, sono stati richiamati i rapporti tra gli esponenti della «mafia siciliana» e quelli della «‘ndrangheta calabrese», disegnando uno scenario storico lungo oltre trent’anni e che apre un ulteriore scorcio sulle alleanze tra le diverse matrici mafiose nei primi anni novanta.
Le importazioni dello stupefacente dal Sudamerica: un settore criminale ricorrente in ogni attività di contrasto alle maggiori consorterie della ‘ndrangheta, risulta essere quello dei traffici di grosse partite di stupefacente, soprattutto di «cocaina». Il mercato degli stupefacenti ha modificato nettamente l’approccio criminale: dalla contrapposizione alla federazione delle cosche per effettuare l’importazione di enormi quantitativi di droghe. Il sistema di collaborazione tra le diverse realtà della ‘ndrangheta garantisce minori spese e notevoli facilitazioni, oltre all’intuibile riduzione di quello che potremmo definire come il «rischio d’impresa» in caso di sequestri.
In questo ambito un appartenente alla cosca si era impegnato per “importare, in due differenti circostanze, 298 kg e 216 Kg. di cocaina (la prima sequestrata presso il porto di Santos, la seconda al porto di Gioia Tauro, occultata in un container trasportato da una motonave proveniente dal Sud America).”
I ruoli attivi di soggetti delle istituzioni: nell’ambito delle contestazioni effettuate è stata ipotizzata una «rivelazione del segreto d’ufficio» in favore degli appartenenti alla cosca Piromalli da parte di un appartenente alle Forze dell’Ordine, che ha posto in essere una condotta non compatibile con gli obblighi di riservatezza imposti dal proprio ruolo.
Trattandosi di provvedimento in fase di indagini preliminari, rimangono salve le successive determinazioni in fase processuale.
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Fonte reggio.gazzettadelsud.it 2023-03-09 08:34:03