È durata circa cinque ore la seconda giornata delle requisitoria del processo d’Appello ‘Ndrangheta stragista per il duplice omicidio dei carabinieri Antonino Fava e Vincenzo Garofalo, da parte del Pg Giuseppe Lombardo. Il magistrato ha valorizzato le numerose testimonianze dei collaboratori di Giustizia Marcello Fondacaro, Girolamo Bruzzese, Antonino Fiume, Antonio Schettini e Annunziato Romeo, che hanno reso dichiarazioni sulla struttura della ‘Ndrangheta, della sua parte riservata, dei suoi rapporti con gli ambienti massonici deviati, con alcuni settori dei servizi segreti e con l’eversione nera. Giuseppe Lombardo, soprattutto, ha rivolto la sua attenzione verso la così detta ‘struttura degli invisibili della ‘ndrangheta’ – «la cosiddetta ‘Camera’ – ha evidenziato» – di cui avrebbero fatto parte, «in rappresentanza dei Piromalli, dei De Stefano e dei Papalia, Nino Gangemi ‘u signurinù (Gioia Tauro), l’avvocato Giorgio De Stefano (Reggio Calabria) e il preside Antonio Delfino (Platì), fratello del generale dei carabinieri Francesco Delfino». Nel prosieguo del suo intervento, il rappresentante dell’accusa, ha detto che «grazie a una coraggiosa giornalista, che ha curato alcune trasmissioni di inchiesta sulla ‘ndrangheta sul canale TV8 di Sky (Alessia Candido, di Repubblica, ndr), abbiamo appreso che il collaboratore di giustizia di Platì, Annunziato Romeo, uomo di fiducia dei Papalia, era stato richiamato e minacciato per le sue dichiarazioni in quella trasmissione, tanto da esserne terrorizzato».
«La sigla – ha detto Lombardo – altro non era che una agenzia di disinformazione utilizzata nell’ambito del progetto ‘Gladiò dalla settima divisione dell’ex Sismi per operazioni riservate. Come racconta il collaboratore di Giustizia Antonino Fiume, ex cognato del boss Giuseppe De Stefano, i due raggiunsero Platì nel 1991 per incontrare il boss Domenico Papalia, che godeva di un permesso premio, ma dovettero fare anticamera poichè in quel momento Papalia era impegnato a interloquire con personaggi dei servizi di sicurezza».
Il magistrato ha poi sottolineato i contatti del defunto capo della Loggia P2, Licio Gelli, con gli ambienti della ‘ndrangheta calabrese. «Giovanni Calabrò, cugino di primo grado di Giuseppe Calabrò, l’assassino materiale dei carabinieri Antonino Fava e Vincenzo Garofalo, nel 1995 scompare da Reggio Calabria. Di lui si scoprono tracce a Roma, Milano e a Monte Carlo. Le indagini consentono di fare emergere che Giovanni Calabrò era delegato ad operare su un conto corrente bancario intestato a Mari Cristiana Gelli, figlia di Raffaello e nipote di Licio Gelli». Lombardo, ancora, ha raccontato quella che ha chiamato «la disperazione del pentito Giuseppe Calabrò, autore, per sua ammissione, di una lettera indirizzata all’ex Procuratore nazionale antimafia, Piero Grasso, per negare ogni sua precedente ammissione sul duplice omicidio dei carabinieri e il coinvolgimento dello zio Rocco Santo Filippone. Eravamo nel carcere di Tempio Pausania – ha detto il Pg Lombardo – quando all’improvviso, urlando per la paura di potere avere la famiglia sterminata, Giuseppe Calabrò si alzò e, dopo una breve rincorsa, si lanciò con la testa contro il muro».
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Fonte reggio.gazzettadelsud.it 2023-02-27 15:36:35