«Matteo era in Calabria ed è tornato». La frase secca pronunciata da uno dei fiancheggiatori dell’ex superlatitante trapanese consegna nel 2018 agli inquirenti palermitani la certezza che il legame tra la ‘ndrangheta e Cosa nostra non s’è mai interrotto. “U siccu” era stato dall’altra parte dello Stretto di Messina per «incontrare cristiani». Dove sia stato e chi abbia incontrato non s’è mai saputo. Indizi flebili rimasti senza riscontro lo collocavano nella Piana di Gioia Tauro e poi nell’area ionica lungo una striscia di terra compresa tra le province di Reggio e Crotone. Prim’ancora s’era pensato che potesse aver trovato un comodo nascondiglio alle porte di Cosenza e negli ultimi tempi circolava voce che cercasse rifugio nella Sibaritide per essere curato senza troppi rischi.
Il medico pentito di Gioia Tauro, Marcello Fondacaro, ha accennato all’interesse del padrino siciliano verso la costruzione di un villaggio turistico nel Crotonese spiegando pure che la mafia isolana e quella calabra erano spesso tenute insieme da logge massoniche deviate attive sia nel Trapanese che nel Reggino.
La pista della possibile latitanza di Messina Denaro condotta per un periodo in Calabria non deve, dunque, stupire. Nel lembo d’Italia compreso tra l’Aspromonte e la Sila sono passati in tanti. Filippo e Giuseppe Graviano, temuti in Sicilia, rispettati dai mafiosi di rango di mezza Italia, ispiratori e mandanti con Messina Denaro delle stragi terroristico-mafiose degli anni 90, avevano familiarità con la l’ultima regione dello Stivale. Sembra quasi incredibile ma il più tristemente famoso dei due fratelli, Giuseppe, soggiornò a Cosenza. Non solo: siccome amava la montagna ed i boschi venne pure portato in giro per la Sila. E visitando l’ameno altopiano al padrino venne in mente di trovare un rifugio sicuro – una villetta – per ospitare il più celebre dei latitanti siciliani: Totò Riina.
“U Zi Totò”, il capo dei capi di Cosa Nostra, aveva peraltro…
Fonte calabria.gazzettadelsud.it 2023-01-18 19:29:42