Forza e bellezza. Ma anche mistero, a comporre il profilo di una seduzione che viene da lontano, dal V secolo A. C., per dire ancora oggi quanto l’umanità sia assetata di figure simbolo, come i Bronzi che il mare di Calabria ha custodito per secoli e, una volta emersi, continuano a parlare di una perfezione mai raggiunta dai comuni mortali. Perché questo è il mito, una rappresentazione tra realtà e sogno che rende possibile il fantasticato, avvertendo tuttavia l’uomo dell’insidia che può celarsi dietro le apparenze o tra le pieghe di un modello ideale, di una storia perfetta.
Così i due guerrieri di Riace, statue in bronzo di mirabile fattura, che il tempo sembra non aver scalfito, riescono a stabilire un contatto col nostro inconscio, sollecitando archetipi interni, che, pur con le loro zone d’ombra, parlano un linguaggio senza limiti epocali o confini geografici. Guerrieri dall’identità sconosciuta, ci dicono tanto della Grecia classica, di quei valori che nell’arte come nella poesia e nel teatro rimangono insuperabili per contenuti e bellezza. Eroi valorosi, di cui Sparta ha vantato i più rappresentativi (si pensi a Leonida e ai suoi condottieri), noti al mondo come uomini addestrati alla disciplina e al combattimento, decisi nel perseguire gli obiettivi di dominio; soprattutto coraggiosi, al punto da mettere in gioco la vita stessa per proteggere la Patria e la loro gente. Incarnazione di forza, quindi, ma anche di sicurezza e determinazione nel superare ostacoli ed opposizioni, in nome della fedeltà all’ideale d’azione.
C’erano tutti gli ingredienti per farne un mito, e non solo. Perché il guerriero emerso dalle acque, oltre che coraggioso, è bello nella fattura del corpo, proteso al combattimento con tutta la muscolatura, capace di impugnare le armi, anche le più pesanti, con grazia e bellezza, senza mai apparire goffo o mostrare segni di sfinimento. L’antichità…
Fonte reggio.gazzettadelsud.it 2022-08-16 15:40:41