Intercettazioni fatali. Anche nell’indagine “Heliantus” la Procura distrettuale antimafia ha consolidato il quadro accusatorio attraverso le “ammissioni” degli stessi indagati, i cui dialoghi compromettenti sono stati intercettati dalle cimici piazzate nei telefoni cellulari, nelle abitazioni e nei luoghi di incontro delle persone sospette di far parte della presunta cosca di ’ndrangheta Labate. Anche per «la genuinità» delle chiacchierate, telefoniche ed ambientali, registrate che ha retto l’impianto accusatorio e le conseguenti pesanti condanne inflitte dal Giudice dell’udienza preliminare.
Tema ripreso e sottolineato nelle motivazioni della sentenza di primo grado: «Le c.d. dichiarazioni auto accusatorie intercettate nel presente procedimento – rivelatesi, nella specie, intrinsecamente attendibili e logicamente credibili – non necessitano di alcun elemento di riscontro o di conferma, che pure spesso concreto è stato acquisito; rimandando le valutazioni al prosieguo, basti osservare come, per gli indagati che siano stati direttamente intercettati, le rispettive dichiarazioni costituiscano, nella quasi totalità dei casi, elementi dì sostanziale ammissione di responsabilità circa l’attribuzione di singole condotte illecite; non è emersa, poi, ragione alcuna per ritenere che le dichiarazioni auto accusatorie registrate fossero oggetto di invenzione o fantasia, tenuto anche conto dell’assoluta delicatezza ed importanza delle questioni oggetto dei dialoghi».
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Fonte reggio.gazzettadelsud.it 2022-08-07 01:32:03