“Ci si può infilare nei panni grillini e chiedersi se si doveva proprio tenere il punto sul divieto del terzo mandato oppure no. Se alla campagna elettorale e poi al prossimo Parlamento sarebbe servita la competenza -invero non proprio scintillante- delle Taverna, dei Toninelli, dei Crimi. O se invece era preferibile, come poi è successo, tener ferma la regola che dieci anni seduti sui banchi bastano e avanzano.
Il dilemma, è ovvio, è di principio e di potere. Nasconde un conflitto tra Grillo, fautore della ghigliottina dei due mandati, e Conte, più aperto all’idea di fare come gli altri e ricandidare almeno la sua guardia pretoriana. E insieme svela una questione identitaria tutt’altro che banale. Per un Movimento che ha dovuto ammainare una discreta quantità di bandiere, acconciandosi a governare con questo e con quello e a farsi carico di provvedimenti che stridevano non poco con il suo codice identitario, accompagnare alla porta la vecchia guardia era anche un modo -l’ultimo rimasto- per rivendicare una sorta di coerenza con i miti delle sue origini.
Dunque, si capisce che alla fine l’abbia avuta vinta Grillo e che i dirigenti prossimi alla decapitazione parlamentare si siano trovati, chi più chi meno, a dover fare buon viso a cattivo gioco. Impresa che non è detto porti una gran fortuna alle sorti elettorali del M5S. Ma senza la quale è assai probabile che i consensi sarebbero stati ancora più esigui.
Si vedrà. Fatto sta che l’argomento non riguarda solo gli interna corporis di una forza che pure appena quattro anni fa raccoglieva il consenso di un elettore ogni tre. Riguarda un principio. E cioè se la politica sia solo una vocazione, o sia anche un mestiere. Se essa richieda competenza e specializzazione, o invece abbia bisogno di un certo grado di improvvisazione. Se le sorti di un paese possano venire affidate a un “ragioniere” (versione Giannini) o magari a una “cuoca” (versione Lenin). Oppure…
Fonte www.adnkronos.com 2022-07-31 08:08:17