“Sono assolutamente estraneo ai fatti che mi vengono contestati in questo processo, che già mi ha procurato non pochi danni fisici e morali. La mia unica responsabilità, se tale si può considerare, è di avere sempre svolto i miei doveri istituzionali con la massima dedizione e con la piena osservanza delle leggi, alle quali ho prestato giuramento di fedeltà al momento del mio ingresso nell’Amministrazione”. Sono le parole di Mario Bo, ex dirigente della Squadra mobile di Trieste, uno dei tre imputati al processo sul depistaggio sulla strage di via D’Amelio, in corso a Caltanissetta, che ha reso dichiarazioni spontanee. “Voglio precisare di essermi occupato delle indagini sulle stragi solo dopo il giugno 1993 – dice – In precedenza non mi sono assolutamente occupato delle relative indagini. Venni destinato allo studio di tutta la documentazione inerente le due stragi”. Per il poliziotto, oggi in quiescenza, la Procura ha chiesto la condanna a 11 anni e 10 mesi, per l’accusa di concorso in calunnia aggravata dall’avere favorito Cosa nostra. Alla sbarra anche i suoi due colleghi Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo. Per loro i pm hanno chiesto la condanna a 9 anni e 6 mesi ciascuno.
“Nel corso di questo processo è emerso che ho fatto parte del gruppo Falcone-Borsellino, che si occupava delle indagini relative alle stragi di Capaci e Via D’Amelio, solo dalla seconda metà del 1993, tornando a Palermo di rientro dal ben più tranquillo incarico di dirigente del Commissariato di Polizia di Volterra, ricoperto dal 1992, allorquando venni trasferito alla Questura di Pisa, in accoglimento di una mia risalente domanda di trasferimento che avevo inoltrato per venire incontro ai desideri della mia allora coniuge – prosegue Bo – non già per asseriti contrasti con il dottor Arnaldo La Barbera per come capziosamente rappresentato da un teste”.
La prima attività di indagine che svolsi risale al mese di settembre 1993, su delega della…
Fonte www.adnkronos.com 2022-05-30 11:22:12