I riti di affiliazione, le doti, i codici e il rispetto. Tornano anche nel filone coordinato dalla Dda di Reggio i capisaldi della ‘ndrangheta, ricostruiti dagli inquirenti insieme alla “mappa” della locale di Cosoleto. «L’operatività delle locali di Sinopoli e Cosoleto è risultata fortemente improntata al rispetto delle doti di ’ndrangheta», annota non a caso la Dia.
Insieme a Domenico Carzo, detto “scarpacotta”, sarebbero stati i fratelli Nicola alias “u beccausu” e Antonio Alvaro detto “massaru ’Ntony” a reggere il gruppo di Cosoleto, la cui concreta gestione – vista anche l’età dei tre – sarebbe stata nella mani di Francesco Alvaro, alias “Ciccio testazza”, figlio di Antonio. Secondo la Procura antimafia «le plurime ed eloquenti captate in casa Carzo mostrano in maniera inequivoca che nel territorio di Cosoleto continuava ad esistere ed operare una locale di ’ndrangheta», consentendo anche di affondare nel pantano delle vicende interne, dei rapporti e degli equilibri «talvolta piuttosto delicati» tra gli appartenenti al sodalizio.
Ampio spazio, tra le duemila pagine di ordinanza di custodia cautelare, viene riservato ai riti di affiliazione. E, quasi immancabile, si staglia all’orizzonte il santuario di Polsi. A parlarne sono, nel 2017, Domenico e Antonio Carzo. «Ci siamo visti alla Madonna della Montagna pure con loro. Ci sono stati un po’ di movimenti là sotto…»: Nando, Enzo della zia Cala, Pepè, Peppe u Palerminu, Simone, Peppe di Raffele avrebbero ricevuto la loro dote in quell’occasione. «Le prove raccolte nel procedimento – sottolinea in questo senso ancora una volta la Procura antimafia di Reggio – documentano che la ’ndrangheta è un’organizzazione strutturata in maniera rigidamente gerarchica e nella quale le regole e i rituali sono ontologicamente connessi alla stessa, che ha un substrato di fortissima tradizione ed una proiezione esterna moderna e camaleontica.
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Fonte reggio.gazzettadelsud.it 2022-05-11 01:30:40