Ci sono luoghi che, solo a vederli immortalati in una foto o in una cartolina, ti lasciano a bocca aperta. Ma è quando sei lì, a toccarne con mano tutte le sfaccettature che li caratterizzano, che poi ti rendi conto di quanto possa essere bella madre natura. Ci sono luoghi che, appena arrivi e scendi dalla macchina entusiasta, ti lasciano senza fiato. Ti rapiscono il cuore e la mente e ti proiettano verso un orizzonte dal quale non riesci più a staccarti. E’ il caso di Pentidattilo, il borgo in cui vivono appena 4 abitanti, in provincia di Reggio Calabria.
Frazione di Melito Porto Salvo, Pentidattilo sorge arroccato sulla rupe del Monte Calvario, dalla caratteristica forma che ricorda quella di una ciclopica mano con cinque dita, e da cui deriva il nome del borgo in lingua greca πέντα-δάκτυλος (traslitterato pènta-dàktylos), cioè “cinque dita”. A Pentidattilo il tempo sembra essersi fermato: un luogo magico dove, soprattutto in primavera, iniziare a disintossicarsi dai ritmi infernali del quotidiano, dove iniziare a riflettere sulla reale e autentica bellezza che avvolge quel territorio, su una collina di 250 adagiata sul mar Mediterraneo. I colori della primavera, i fiori, le stradine. E come scriveva quasi 20 anni l’antropologo calabrese Vito Teti, nel suo libro “Il senso dei luoghi. Memoria e storia dei paesi abbandonati”.
“Contro ogni apparenza, i luoghi abbandonati non muoiono mai. Si solidificano nella dimensione della memoria di coloro che vi abitavano, fino a costituire un irriducibile elemento di identità. Vivono di una loro fisicità, di una loro corposa e materiale consistenza. Si alimentano di uno spessore doppio e riflesso. Pretendono non la fissità, ma al contrario il movimento, il percorso fisico e mentale di una loro continua riconquista […] Questi luoghi, si pensa in genere, non hanno senso: non hanno più senso, se mai ne hanno avuto…
Fonte reggio.gazzettadelsud.it 2022-04-29 01:30:14