“Si chiama ‘economia di guerra‘. La parola è dura, scabrosa, antipatica. La cosa lo è ancora di più. Ma tutto fa capire che potrebbe toccarci in sorte. Annunciata dal rombo dei cannoni che risuona minaccioso nelle contrade ucraine. E nel nostro piccolo dagli aumenti del gas e della benzina.
L’economia del nostro tempo appariva fino a poco fa più o meno felicemente adagiata sulle delizie della globalizzazione. Delizie non prive di qualche croce, ovvio. Ma la possibilità di comunicare e viaggiare a costi sempre più limitati, di importare ed esportare ogni genere di prodotto, e per giunta di fare tutte queste cose tenendo a bada l’inflazione, tutto questo ci ha regalato anni meno crudi e faticosi di quelli che con ogni probabilità ci attendono ora.
Non che fosse un mondo perfetto, tutt’altro. Peccato che adesso ci si riveli, e si annunci, un mondo assai più ferino, meno sicuro di quello che fin qui ci faceva tribolare. Prima il covid, poi (soprattutto) la guerra, hanno terremotato la nostra agenda pubblica. E mentre le forze politiche sembrano illudersi che si possano chiudere tutte queste tribolazioni dentro una gigantesca parentesi, è assai probabile che invece il mondo che sta prendendo forma in questi mesi ci chiederà di ripensare da cima a fondo il nostro destino.
Tanto per cominciare si tratterà di spendere di più per metterci in sicurezza. Cosa che gli esperti di geopolitica avevano messo nel conto già da un po’ di tempo, e che ora -sotto l’effetto della crisi ucraina- diventerà una dolorosa urgenza. Quando sul finire degli anni settanta Pertini si insediò al Quirinale nel suo primo messaggio invocò per l’appunto l’esigenza di ‘svuotare gli arsenali e riempire i granai’. Era un riflesso del sentimento del paese e delle sue culture politiche. Ora invece probabilmente ci troveremo a dover riempire i nostri arsenali. E semmai a cercare di non svuotare il granaio del nostro welfare, minacciato dai…
Fonte www.adnkronos.com 2022-03-20 09:00:50