Dopo Nino Imerti detto “Nano Feroce” un altro boss di livello apicale (secondo sentenze definitive) decide di rompere il silenzio e parlare per la prima volta con la stampa: Giuseppe Piromalli, classe 1945. Il colloquio è stato condotto anche questa volta da Klaus Davi, che era affiancato da Alessio Fusco inviato di Newsmediaset. I due giornalisti, dopo essersi recati a casa del boss a Gioia Tauro, hanno posto una serie di domande a “Facciazza” (questo lo storico soprannome di Piromalli).
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Buongiorno. Sono Klaus Davi, il giornalista. Come state?
«Non bene. Mi dica…»
Volevo farvi un po’ di domande. Antonio, vostro figlio, come sta? Ci siamo conosciuti a Milano.
«Sta bene».
Allora: dopo 30 anni, quando dicono “il grande capo della ’ndrangheta”… cosa replicate?
«Quando dite qualcosa di me, dovete dire “un grande lavoratore, un grande agricoltore che non sa come dare l’anima per portare avanti quello che hanno distrutto”».
Una curiosità: perché vi chiamano “Facciazza”?
«Perché quando ero piccolo un mio cuginetto si divertiva a dire che avevo la faccia grossa, ma a Gioia Tauro mi conoscono tutti come Pino Piromalli, non come “Facciazza”».
La famiglia Piromalli controlla il porto, tanti processi di narcotraffico. Antonio, vostro figlio, controllava l’Ortomercato.
«No no, non andiamo di fretta… Queste cose mi fanno schifo, l’ho già detto 30-40 anni fa che è una porcheria questa cosa del narcotraffico».
Però ci sono state indagini sulla famiglia Piromalli con la famiglia Pesce, la famiglia Bellocco. I cartelli per controllare il porto… e poi la galera…
«In galera sono stato per avere favorito qualcuno che ho portato dalla fame al benessere».
Come l’ha portato dalla fame al benessere?
«Le dico subito, perché questo tizio che ha detto “Pino Piromalli era un operaio che lavorava lì al porto e mi ha detto se poteva fare questa cosa”. Ma lei mi sta…
Fonte reggio.gazzettadelsud.it 2022-02-23 18:36:26